La Tempesta, dormiti gallina dormiti

da William Shakespeare
scrittura scenica in napoletano Silvestro Sentiero
regia Davide Iodice
canzoni Nino D'Angelo
personaggi e interpreti in ordine di apparizione:
Prospero | Rino Gioielli Calibano | Nando Neri Ariel | Emi Salvador Alonzo, re di Napoli | Angelo Montella Antonio/Trinculo Davide Compagnone Sebastiano/Stefano Silvestro Sentiero Gonzalo | Ernesto Martucci (poi Giovanni Ludeno) Ferdinando | Vincenzo Del Prete Miranda | Tania Garribba
musiche in scena:
fisarmonica, violino, flauti Mark Di Giuseppe ( poi Luciano Catapano) batteria, percussioni Diego Leone (poi Claudio Marino) flauti, clarinetto, tammorre Lello Settembre
elementi scenici Massimo Staich
assistente Grazia Pagetta
costumi Daniela Salernitano
produzione libera mente Napoli / C.R.T. Centro di Ricerca per il Teatro Milano

 

Nel buio una lastra metallica è scossa da mano di percussionista. E' il rumore della tempesta che Prospero con le sue arti magiche ha scatenato sul mare per mandare alla deriva la nave sulla quale viaggia il fratello Antonio, usurpatore del suo regno. Si apre nel rispetto filologico del testo shakespeariano La Tempesta - Dormiti, gallina, dormiti... che Davide Iodice - regista della compagnia napoletana Libera Mente - ha diretto con spirito ribelle e contaminatore. Un modo di operare, il suo, che sembra aver colto la materia primigenea di questo dramma che chiude la folgorante carriera dell'autore di Stratford-upon-Avon. Quegli innesti di cultura terrigna, rubati da Shakespeare ai comici dell'Arte e impastati con i motivi "alti" e l'impalpabilità dei sogni e delle passioni umane, nello spettacolo di Iodice diventano occasione per sperimentare presenze teatrali diverse e relegate in un genere ormai marginale. Sono i corpi scenici degli artisti della sceneggiata che il giovane regista recupera e mescola nel cerchio della Tempesta agli attori e ai musicisti di Libera Mente.

Sbattuti dalla furia delle onde sulle rive dell'isola di Sicorace, dove da dodici anni Prospero vive con la figlia Miranda, i nuovi naufraghi trovano un clima di magica soavità. Il calmo sciacquio sulla battigia inizia ora ad accompagnare le parole degli attori, dando il ritmo all'intero spettacolo. E non si tratta di una base registrata, ma di un marchingegno artigianale piazzato sul fondo della scena. Bilancieri, carrucole e corde muovono costantemente una sorta di tammorra con dentro centinaia di piccolissime palline metalliche che rotolando dolcemente creano quel rumore. E' solo una parte dell'elemento musica dello spettacolo che assume - come accade sempre nei lavori di Iodice - una valenza narrativa.

In quell'aria densa di incantamenti approdano, insieme all'usurpatore Antonio, il vecchio consigliere Gonzalo, il re di Napoli Alonso con il fratello Sebastiano e la piccola ciurma buffa e sconquassata, Trinculo e Stefano, mentre perduto tra i flutti sembra essere Ferdinando, figlio di Alonso. Dopo dodici anni di attesa è giunta l'ora dei chiarimenti e tutto accade nel rapido susseguirsi delle scene, che sviluppano il dramma nel rispetto delle tre unità aristoteliche (azione, tempo e luogo), mai tenute in considerazione da Shakespeare e che Iodice rende ancora più asciutte e leggere, come fluidi e leggeri sono i passaggi di Ariele. Attori e musicisti, che siedono lungo il perimetro della scena svuotata di quinte e fondali, si alternano nel cerchio dell'azione, come se di volta in volta andassero ad alimentare e, contemporaneamente, a prelevare energia per l'azione scenica stessa. Si crea così un centro di gravità dove subito Prospero (un intenso Rino Gioielli in giacca da camera) narra a Miranda di essere stato un tempo il duca di Milano, ma di aver abbandonato il governo nelle mani del fratello per amore dell'arte, con la quale credeva di <<poter cambiare questa società>>. Tragica distrazione che ha permesso ad Antonio, alleatosi con Alonso, di spodestarlo e di prendere il potere prima di abbandonarlo in mare con la figlioletta Miranda. L'orrore del raccolto lascia subito il posto all'etereo sopraggiungere di Ariele, il minuto e vibrante Emi Salvador, che in completo bianco svolazza indaffarato per la scena e ogni tanto canta le canzoni di Nino D'Angelo. E' uno spirito dell'aria, imprigionato dalla maga Sicorace in un tronco d'albero e lì rimasto fino all'arrivo di Prospero. Servizievole e leale, né maschio e né femmina ma sorta di androgino rinascimentale, Ariele si contrappone al macho Calibano, mostruoso figlio di Sicorace, che per mancanza di virtù umane rassomiglia al Calandro del Bibbiena e che Iodice fa interpretare a Nando Neri, mettendogli sul dorso nudo una vecchia e spelacchiata pelliccia. E mentre Miranda (la graziosa Tania Garribba) e Ferdinando (Vincenzo Del Prete) si innamorano al primo incontro, al centro della scena si consumano le performance buffonesche di Davide Campagnone e Silvestro Sentiero (che firma anche la partitura drammaturgica in napoletano dello spettacolo). Il primo, passando dal ruolo di Antonio a quello di Trinculo, forma con Sentiero (che interpreta invece Sebastiano e Stefano) un'affiatata e interessante coppia d'attori, da cui emerge il puntuale lavoro sul corpo compiuto dalla compagnia.

Del resto questo spettacolo (che ha ricevuto il Premio Speciale Ubu 1999) è tutto costruito con un amore artigianale per il fatto teatrale. Una passione che lo libera da ogni inutile elemento e lo conchiude in un meccanismo ad orologeria. La scrittura musicale (eseguita da Lello Settembre, Luciano Catapano e Claudio Marino, che prediligono percussioni, fiati e altri inusuali oggetti sonori) procede parallela a quella drammaturgica, per sfociare talvolta in sequenze memorabili. Come il brano del convivio con tanto di portate preparate da xilofono e tammorra e servite dallo scroscio di minuscoli piattini, vera e propria chicca che provoca l'applauso degli spettatori.

Nelle quasi due ore la messinscena attraversa i complotti di Calibano, i pentimenti di Antonio, i ritrovamenti di figlioli e si ricorda anche del traffico di organi e di clandestini sull'Adriatico e della strage del Cermis. Per arrivare verso un finale da avanspettacolo, offerto ai due giovani promessi sposi, in cui Ariele in giacca di lustrini, che già pregusta la libertà promessagli da Prospero, prova ad addormentare una spaesata gallina. Citazione di Vicienzo 'o Pazzo, comico di sceneggiata che quando entrava in scena - assicura Iodice - cercava di attirare l'attenzione del pubblico recitando verso la gallina che portava con sé: <<Dormiti, gallina, dormiti>>. Una scaletta di canzoni della tradizione popolare porta al lieto fine della vicenda, come quel clima sovrannaturale eppure tanto capace di scavare nella profondità dell'animo umano aveva preannunciato dall'inizio. La finzione scenica scomparirà per lasciare il posto a donne e uomini anche se sono <<della stessa materia di cui sono fatti i sogni>>. Ogni fraintendimento e malefatta si sciolgono, il perdono arriva puntuale, l'amore trionfa e Prospero non avrà più bisogno dell'ausilio delle sue arti magiche. Dopo la tempesta, un nuovo ordine è ristabilito.

                                                                                         Maria Teresa Surianello-Tuttoteatro.com